martedì 14 giugno 2016

la voce socialista ed i figli ricchi ed incapaci

Casco per caso su questo articolo de lavoce.info ed il miglior commento che questo articolo merita è "mah...":
- una spolverata di luoghi comuni ("i figli degli imprenditori sono, quasi per definizione, ricchi e come tali hanno forse meno interesse a impegnarsi in attività imprenditoriali di persone meno abbienti.")
- informazioni esposte in modo da avvalorare la propria tesi, parlando dell'Italia e facendo riferimento ad imprese indiane ("Inoltre, sembra che gli amministratori delegati di famiglia lavorino meno ore di quelli esterni" - si badi, non solo "sembra" ma il link è riferito ad uno studio su aziende indiane, che, per cultura non so quanto siano significativamente rappresentative di quelle italiane, le prossime dove le prendiamo, in Kamchatka?)
- infine il salto logico: se in italia non c'è meritocrazia è colpa delle aziende che vengono passate di padre in figlio (che invece abbonda di sicuro negli enti pubblici)
La conclusione cui arriva è che quello "sconto" è da abolire, magari per dirottare i soldi sulla riduzione di altre tasse (in fondo è un regalo ai figli ricchi che, in quanto tali, sono sicuramente degl'incapaci - non a caso qualche anno fa qualcuno auspicava che piangessero, no?)

Sarà che ho una prospettiva distorta perché vivo in una terra baciata dalla fortuna (la Brianza), ma che la sua fortuna se l'è costruita anche su migliaia d'imprese passate di padre in figlio e tuttavia cresciute dal piccolo capannone a grande azienda, magari lungo anche 3 o 4 generazioni (e se già i figli "ricchi" sono incapaci, figuriamoci i nipoti...), dove il "padrone" lavora da 12 ore al giorno in su, mediamente 6 giorni su 7, e quelle che si sono affidate a manager esterni, spesso provenienti da una certa blasonata università milanese, se la sono vista brutta finché la "famiglia" non ha ripreso in mano il timone; una terra dove il "padrone" non è quella figura di stampo ottocentesco (che, invece, pare di leggere tra le righe dell'articolo), ma declina un "socialismo familiare": possono anche arrivare ad avere un centinaio di dipendenti e continuare a considerarli parte della propria famiglia, tanto da affrontare sacrifici pur di non licenziare. Un esempio per tutti: un imprenditore nel settore della meccanica di precisione mi ha raccontato di aver ricevuto una sostanziosa offerta per la propria azienda da un gruppo straniero, ma vendere avrebbe significato il trasferimento all'estero dell'attività; "Quando dovevo decidere sono sceso in ditta, mi sono guardato intorno e ho deciso di non vendere e sa perché?" e la risposta me la diede indicando uno ad uno i suoi dipendenti, "Quello è Gino: ha una moglie e due figli; quello è Roberto: si appena sposato ed ha un mutuo; quello è Andrea, l'ho assunto da poco, ha appena comprato la macchina e deve finire di pagarla; quello è..." ha proseguito l'elenco terminando con "Per quanti soldi mi possano dare, come faccio a vendere e mandarli tutti a casa?" Una mosca bianca? Non so altrove, ma qui no.

Da ultimo: abolire quello "sconto" sulla tassa di successione, secondo l'autore dell'articolo, potrebbe servire a ridurre le tasse a tutte le imprese... i casi sono due: o c'è una vera moria di imprenditori, oppure il gettito mancato per quello sconto sarebbe irrisorio una volta distribuito su tutte le imprese, familiari e non (ed un professore universitario dovrebbe sapere che quando si fanno certe affermazioni sarebbe meglio fornire qualche numero)

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