mercoledì 30 settembre 2015

anche se hai giocato a Super Mario non vuol dire che sei un idraulico - 2


[la parte 1 è qui]


Avevamo lasciato in ambasce Mario, il cugino Mimmo, il cognato Giuseppe, il collega Umberto, l'amico Michele, il capo Giulio e una buona parte di un qualsiasi paesino di una qualsiasi provincia di una qualsiasi ragione in Italia.

In ambasce per un servizio di Striscia la Notizia.



E per un tubo.



Chiaramente non un tubo normale, ma un tubo speciale, un tubo magico.
E cosa fa di tanto formidabile?
Beh, lo monti tra il contatore del gas e la caldaia e ti fa risparmiare fino al 50% della bolletta!!!
Wow, è incredibile!
Vero? E pensa che salva pure l'ambiente!
Pure???
Non solo! Se sei bravo, può anche farti guadagnare milioni (in lire)!!!
Eh, ma se sei davvero bravo, però!
Ma neanche così tanto! In fondo si vende da solo: è magico!
Davvero???































Ecco, no: sono tutte cazzate.




Ma Mario, Mimmo e tutti gli altri non lo sanno.




La storia comincia quando un certo Mirco Eusebi e la moglie Ivana Ferrara brevettano il magico tubo, lo battezzano "Tucker", lo fanno provare e certificare da enti e laboratori accreditati e cominciano a venderlo.

Più o meno: le sole cose davvero corrette sono i nomi, tutto il resto no.

Partiamo da un dato incontestabile, perché lo spiegano gli stessi irreprensibili imprenditori: il "tubo" non è una loro invenzione, sarebbe già stato usato durante la WWII per ridurre i consumi degli aerei e loro si sono limitati a brevettarne l'applicazione alle caldaie.
In teoria l'adozione di un dispositivo durante la seconda guerra mondiale dovrebbe dimostrarne l'efficacia.
In teoria.

In pratica lo affermano ma senza presentare un solo straccio di documento a sostegno o almeno un link; magari è pure vero, riconosciamo il beneficio del dubbio.
Del resto anche questequeste queste erano armi avanzatissime sviluppate durante la seconda guerra mondiale (alcune sono ripetute in più link).
Le hanno pensate? Sì.
Funzionavano? Forse.
Avevano senso? No.
Quindi una cosa usata durante la WWII è, ipso facto, una grande invenzione? Fate voi...

E anche sulla vendita c'è da precisare: non vendono direttamente, ma tramite agenti.
Fin qui, tutto normale.
Se non che agli agenti viene prima chiesta una cifra variabile tra 4.500 e 10.000 sacchi (in euro), compreso anche un certo numero di tubi, poi gli viene detto che possono reclutare altri agenti a loro volta, guadagnando anche dalle loro vendite e dalle vendite di quelli che loro, a catena, recluteranno.
In poche parole, se ne coinvolgi abbastanza e questi, a loro volta, ne coinvolgono altri, allora puoi stare tranquillo a ballare Asereje nel salotto di casa, che tanto saranno altri a lavorare per te e tu, al massimo, farai la fatica di contare i soldi.
Loro lo chiamano "franchising", il resto del mondo lo chiama "multi level marketing" - e lo considera una truffa.
È il meccanismo per cui Giulio ha tirato dentro Michele, che ha tirato dentro Giuseppe, che ha tirato dentro Mimmo, che ha tirato dentro Mario che alla Fiera dell'Est avrebbe dovuto vendere i tubi.

Veniamo poi alla questione certificazioni e qui la cosa si fa complicata.
Nel senso che le certificazioni ci sono.




Anzi, no.




Cioè, ci sarebbero.



Però non ci sono.



Insomma, si.


Ma anche no.


(Comunque per la magistratura definitivamente no)

Il fatto è che loro dicono di averle, ma chi le ha rilasciate dice che non valgono nulla.

Forse così è troppo sintetico ed è meglio entrare nel dettaglio.


Quando si scopre qualcosa di nuovo, di solito funziona così:
  1. inventi una cosa eccezionale
  2. provi a capire come funziona, facendo esperimenti come Dio comanda
  3. se l'hai capito, pubblichi la tua ricerca ed i tuoi dati
  4. qualcuno, nel resto del mondo, legge la tua ricerca
  5. quel qualcuno prova a ripetere i tuoi esperimenti ti rifà i conti in modo indipendente
  6. quindi o "qualcuno" ottiene gli stessi risultati e li conferma, oppure no, e allora si riparte dal punto 1 per vedere chi ha ragione

Come, invece, pare sia andata in questo caso:
  1. non si sa bene chi sia l'inventore: l'hanno usata nella WW2 (e l'abbiamo già detto vedi sopra), ma chi sia il memorabile ideatore non si sà
  2. si tenta di dire qualcosa sul funzionamento: le onde elettromagnetiche metterebbero in ordine le molecole del gas e, per il noto effetto magicabula (spiegato qui in un documentario altamente scientifico), ti fa consumare meno gas
  3. di dati non se ne danno, al massimo fai ripetere le prove che hai fatto tu, ma le fai sempre tu, alle tue condizioni che tieni per te e senza un elemento di controllo
  4. i punti 4, 5 e 6 non si possono fare

Insomma, a fare le cose per bene avrebbero dovuto dare un tubo qualunque e qualche altro tizio, in modo indipendente, l'avrebbe montato su una caldaia, con un'altra identica ma senza tubo accanto ed avrebbe visto cosa succede.

Ehi, ma la mia bollette si sono dimezzate! Vuol dire che 'sto cazzo di tubo funziona!

Ciccio, leggi bene: la parola magica è "condizioni".
Ovvero: oltre a montare il tubo magico, che altro fai? Ad esempio: se manovri la valvola del gas chiudendola un poco, devi dirlo, così lo faccio anche sull'altra caldaia, quella senza tubo.

Perché, se chiudi un poco il rubinetto del gas (o, più in generale, fai una messa a punto e quella manutenzione elementare che magari nessuno aveva mai fatto prima), poi è ovvio che di gas ne consumi meno.







Ma non è merito del tubo.



Oppure è proprio un merito del tubo.


Solo che non è la stessa cosa, perché nel frattempo hai strapagato un risultato che potevi avere con molto meno.


E senza tubo.

(Ah, già che ci siamo: il tubo lo colleghi alla presa della corrente? Ed allora perché guardi solo la bolletta del gas e non vai a vedere se e quanto sia aumentata la bolletta della luce?)




Bon, la parte tecnica e pallosa è finita: è stato faticoso, duro, un poco straniante e magari non si capisce nemmeno tutto, però era necessario.




Comunque, mettetevi nei panni di Mario, Mimmo e tutti gli altri: di tutto questo non ne sapevano nulla e, forse, manco l'avrebbero capito, né gli sarebbe interessato.

Però avevano speso dai 4.500€ ai 10.000€ e quelli li capivano benissimo (insomma: tanti erano tanti, ma si divide per 2 o si moltiplica per 2? Bah, dell'euro non avevano ancora capito un cazzo)

[continua]




venerdì 25 settembre 2015

Sono loro, non sono io

Adoro Milano durante la settimana della moda.
Per carità, adoro Milano pure tutto il resto dell'anno, ma la settimana della modo particolare.

La città diventa il centro del mondo, o di  una parte di mondo.
Per carità, della moda non potrebbe impipparmene di meno, ma sempre centro è.

La città si riempie di eventi, installazioni ed iniziative.
Per carità, poi non partecipo a nessuno di questi eventi e/o iniziative, ma è comunque bello sapere che ci sono.

La città si popola di fauna femminile che farebbe impazzire gli ormoni anche di un eunuco.
Per carità,... no, alla fauna femminile sono interessato, decisamente interessato.

Adoro Milano durante la settimana della moda.








































Finché sono a piedi.

In auto la storia cambia.
Gente che non sa dove andare, gente che dove andare lo sa benissimo ma lo fa pianissimo, gente che forse sa dove andare o forse no ma nel dubbio si piazza in mezzo alla strada, cercando di occuparne il più possibile con una macchina sola, che se fosse a 3 corsie se la farebbero tutta intraversando come questo qui se ne fossero capaci, gente che dove andare ci è arrivata e pensa sia ovvio piantare il veicolo esattamente dove si trova, gente che se il navigatore dice "tra 300 metri girare a destra" si piazza ovviamente a sinistra, a 50 metri scarsi si butta a destra e solo dopo mette la freccia, gente che se il navigatore non ce l'ha o non lo capisce blocca un intero incrocio per decidere se andare a destra o a sinistra e riparte solo quando ormai il semaforo verde per te è un ricordo, gente che gira a sinistra, no gira a destra, no a sinistra e che zigzagando fa incazzare tutta la colonna che si è formata alle loro spalle, gente che "a Milano non si può girare in macchina che è un casino" però ci viene lo stesso in macchina e crea in prima persona il casino come se fosse una profezia che si autoavvera, gente che "a Milano non si riesce a parcheggiare" e per forza visto che poi cerchi di mettere persino la Smart in diagonale per occupare almeno 4 posti, gente chePER L'AMOR DI DIO PRENDETE LA METRO O RISCHIO L'ARRESTO PER TENTATO OMICIDO!!!






Ovviamente io a Milano ci vado in macchina, anche se è un casino e non si riesce a parcheggiare.

internet for dummies

Quelli fighi la chiamo "infografica", per me è "solo" un'eccellente vignetta che spiega come ci s'informa davvero ed ha il pregio di essere capibile persino per i più tonti.

Insomma, è più bravo di me: io di solito m'incazzo prima e di più, quindi salto le spiegazioni e passo direttamente agl'insulti.

Ah, come si vede in alto, l'autore è Andy Ventura, e qui trovate il suo blog: mi pare il minimo che ci facciate un giretto.

giovedì 24 settembre 2015

Caro amico con lo scooter...

...già hai uno scooter: per me, da motociclista, sei figlio di un motociclo minore, anche se, per carità, nessuno è perfetto.
Certo, tu esageri ma non te lo voglio far pesare.

...arrivi e ti piazzi ad un centimetro dal mio culo, che se per caso infilo un'inchiodata mi attraversi lunotto e parabrezza come un razzo katjuša sparato su una colonia istraeliana, solo meno incazzato.

...siamo in una rampa di uno svincolo, cosi largo che da un guard rail di cemento all'altro la mia macchina ci passa quasi a stento senza ritirare gli specchietti, e tu tenti di superarmi.

...ti sposti a destra ed io, capite le tue intenzioni, vado a sinistra; non ci passi e, secondo una logica tutta tua, ci riprovi a sinistra, quindi io mi risposto a destra.

...mi fai fare questo balletto 3 o 4 volte, sempre senza esito: come sia possibile che una rampa dritta come un fuso prima o poi si allarghi per magia, chissà, un giorno me lo spiegherai.

...ma dopo tutto questo, perché, quando finalmente riesci a passarmi, mi mandi a fanculo?







Forse facevo meglio ad inchiodare.

mercoledì 23 settembre 2015

Sgnaus-meme 45


Sgnaus-meme 31


Metodi efficaci

Mattina splendida, sole meraviglioso, temperature straordinariamente alte per il periodo e vaffanculo sono in ritardo: mi fiondo in moto, arrivo che spengo il motore, scendo e metto il cavalletto tutto assieme, alla biella solo un gesto di saluto perché il casco me lo sfila mentre salgo le scale, porcaputtana oggi ho pure lezione nell'aula in fondo al primo piano.
Entro in classe trafelato che mi sto sfilando la giacca ed ho ancora su il paraschiena, "Buongiorno ragazzi, scusate il ritardo" e mi metto a far lezione, ma senza usare la lavagna: non mi ero ancora levato la giacca perché mi ero dimenticato di togliere prima i guanti.

Neanche a metà lezione, bussano.

E a me sale il crimine.

Il crimine mi sale per una brutta abitudine di alcuni studenti della mia scuola: durante il normale orario di lezione, chiedere di andare in bagno ed in realtà entrare in altre aule per dire qualcosa ad un loro amico.
Che poi questo amico stesse seguendo una lezione, chissene: quello che dovevano dire era sicuramente più importante ed urgente.

E a me saliva il crimine.

Caso tipo, di qualche mese prima:

Bussano

Io: "Avanti"

Tizio a caso entra e, senza nemmeno guardarmi in faccia, "oh, Anto'(1), per quella cosa là..."
Io (con tono da Gunny): "C'è un'emergenza?"

Tizio finalmente si rende conto che, oltre al suo amico, in quello strano locale chiamato "aula", in quel curioso edificio chiamato "scuola", c'è anche uno balzano tizio chiamato "professore": trasecolato e sorpreso mi rivolge un esplicativo 























Uh?















"Quello che devi dire ad Antonio non è rimandabile? C'è un'emergenza?"

Stupore, disorientamento: "Cos... no, io..."
"Bene, allora puoi aspettare l'intervallo, grazie, io sto facendo lezione."
Fastidio leggero: "eh, ma, devo solo dirgli una cos..."
"UNA COSA 'STO CAZZO! TI SEMBRO FORSE LA SUA FOTTUTA SEGRETARIA?!?"
Stordimento, confusione: "Ma, no, io..."
"E ALLORA FUORI DAI COGLIONI!"
Scatto d'orgoglio, almeno un poco: "Eh, vabbé, l'educazione, però..."
"EDUCAZIONE? EDUCAZIONE UN PAR DI PALLE! STAI MANCANDO DI RISPETTO A ME, AL TUO AMICO E A TUTTI I SUOI COMPAGNI! QUI LAVORIAMO, NON CAZZEGGIAMO! PEDALA! CHIARO?"
Annichilimento, perdita di riferimenti: "No, cioe, io.. ..."
"TU ADESSO ESCI DALLA MIA AULA! DOMANDE?"
Resa senza condizioni: "No, prof, scusi prof..." ed esce con le pive nello zainetto
"Ecco, meglio... dove eravamo rimasti?"


Antonio alza la mano: "Lo scusi, prof: è un coglione."
"L'avevo sospettato, non ti preoccupare; solo digli di non rifarlo, che potrei incazzarmi sul serio la prossima volta"







Dopo quella volta, nessuno è più entrato nella mia aula a cazzo.



Torniamo a quella mattina splendida: avevano appena bussato e a me stava salendo il crimine preventivo.
"Avanti"
Altro tizio di altra classe, non uno dei miei.
"Buongiorno prof, scusi"
Tranquillo, educato: il crimine scende, tizio mi piace.
"Non c'è problema -con tutta evidenza aveva bisogno di essere rassicurato-, bisogno di qualcosa?"
"No, è che ha lasciato le chiavi dentro la moto e gliele ho portate."
L'ho ringraziato, preso le chiavi ed offerto un caffè all'intervallo, ma l'ha cortesemente rifiutato.


Visto che i ragazzi basta saperli prendere?


(1): nome del tutto generico, nessun riferimento

martedì 22 settembre 2015

laD 'Iv qoH

[Disclaimer: viene omesso il cappello introduttivo del tipo "premesso che me la sifonerei lo stesso..." perché mi suona un po' come quelli che cominciano un discorso con "non sono razzista, ma..."]


l'immagine è opera di Fabrizio Furchi (1)

Voi della nuova Miss Italia non avete capito un cazzo.

Il suo è un arguto e machiavellico messaggio in codice: tra tutti gli anni di guerra, quale ha scelto? il '42: non il '41, non il '43, no, proprio il 42 (senza apostrofo)

Non avete capito che ha detto apposta una colossale puttanata perché in realtà è nerd, ma non può rivelarlo altrimenti le tolgono il titolo, la cazzata serve solo a richiamare l'attenzione di chi può cogliere il significato nascosto e contemporaneamente nasconderlo a chi non deve capirlo.

Uno stratagemma diabolico.

Che altro poteva fare, pòra stèla? Mettersi a parlare in klingon come il dottor Spock di Star Wars(2)?

Sul serio, quotidianamente in rete si palesano tizi che negano l'allunaggio, sostengono che l'AIDS non esista, proclamano che i vaccini fanno male o denunciano che il Diario di Anna Frank sia falso: rispetto a quei tizi, già sapere che nel 1942 in Italia ci fosse la guerra la fa sembrare Umberto Eco.


Ve la prendete con una diciottenne in evidente pieno marasma emotivo a cui hanno fatto una domanda del cazzo nel più assurdo contesto immaginabile? Se avesse esposto una tesi sul gatto di Schrödinger, avreste detto che al massimo poteva preoccuparsi degli animaletti pucciosi?

O state rosicando, o siete come questi qua.


In entrambi i casi: addio, e grazie per tutto il pesce.


(1): Fabrizio Furchi, autore del meme lo trovate qui, astenersi insultatori e perditempo

(2): se stai pensando "ma guarda 'sto coglione che parla tanto e poi scambia Star Trek con Star Wars" significa che non hai capito un cazzo, ma va bene così

sabato 19 settembre 2015

Sgnaus-meme 53


Sgnaus-meme 30


anche se hai giocato a Super Mario non vuol dire che sei un idraulico - 1

Correva l'anno 2002: alla radio tre ragazze spagnole infastidivano le orecchie e frantumavano i maroni con Asereje ed un balletto imbarazzante imitato, spesso male, in tutte le discoteche ed i villaggi vacanze del regno, gli americani si stavano lanciando con il consueto ottuso entusiasmo in un ginepraio afghano convinti di essere il dream team di basket alle olimpiadi di Barcellona '92, in 12 paesi europei si comincia a familiarizzare con gli Euro, che ancora non erano considerati la sentina di ogni male.

Quell'anno, in Italia accadde anche un'altra cosa: un sacco di persone dovettero affrontare l'idea di essere stupide e di essere state turlupinate in quanto stupide.

Insomma, non è una bella esperienza.

Provate a mettervi nei panni di una persona di normale buonsenso che in un momento di rabbia e/o confusione abbia votato M5S e poi si sia trovato in parlamento gente che blatera di sirene, che ciancia di microchip sottopelle o che fa disegni di legge come Paola Taverna: ogni mattina si deve guardare allo specchio e rendersi conto che quella gente l'ha mandata lì pure lui.

Non è bello.

Per niente.

Ma eravamo nel 2002 e Grillo ancora si limitava a scrivere nel blog e mandava a fanculo solo chi gli tagliava la strada in macchina; il primo ottobre di quell'anno molte persone stupide ricevono la notizia di essere stupide dal principale programma d'informazione & divulgazione scientifica dell'Italiano Medio: Striscia la Notizia.

Prendiamo in considerazione un italiano a caso, che chiameremo Mario per comodità; il nostro amico Mario sta mangiando la sua pasta alla carbonara mentre guarda Striscia e quasi si strozza dopo aver visto il servizio: dopo aver tossito un pezzo di spaghetto che aveva perso la retta via, Mario rimane a fissare lo schermo per un secondo o due, ma senza realmente vedere nulla, nemmeno le tette della velina mora, che gli faceva un certo sesso.

(Intendiamoci: non è che con quella bionda si sarebbe tirato indietro, mica era come quei ricchioni là che fanno la moda, sia chiaro, che Mario ci tiene)

A questo punto Mario si alza e va a controllare la sua caldaia, la fissa un po' e scuote la testa nel vano tentativo di schiarirsi le idee.

Nulla, non vede uno spiraglio.

Allora Mario va in cantina ed osserva delle scatole ordinatamente impilate in un angolo: scuotimento di testa.

Niente da fare.

Allora torna a guardare la caldaia.

Ma la nebbia è ancora lì.

Pensa ai soldi spesi per quelle scatole in cantina, milioni di euro, no, di lire, che poi sono milioni o migliaia di euro? Ma bisogna dividere per due o moltiplicare per due?
Mario non aveva ancora capito un cazzo dell'euro, né l'avrebbe capito negli anni a venire.

"TERESAAAA!"
Teresa è la moglie di Mario.
"Che c'è? Che vuoi? Perché urli così?"
"Dove sono le bollette?"
"Che bollette?"
"Ma quelle del gas, no?"
"Ecchennesò io! Le bollette del gas, della luce, dell'acqua! Sono tutte lì"
Ovviamente Teresa indica, ma è nell'altra stanza, dove Mario non la vede.
Non che questo sia un limite per Teresa.
Alla fine Mario trova le bollette, le mette in ordine cronologico e guarda gl'importi, che poi sono pure doppi, in lire ed in euro: la confusione aumenta, ma poi almeno quello lo risolve e capisce che, in effetti, da un certo momento la cifra è scesa, non di tanto ma è scesa, poi è rimasta più o meno la stessa.
Teresa conosce suo marito e le basta un'occhiata: "Mario, c'è qualcosa che non va? Che hai fatto?"
Perché qualunque cosa sia, lei è già sicura che sia colpa di Mario, senza dubbio alcuno.
"Ma no, niente, non ti preoccupare."
A questo punto, Mario chiama suo cugino Mimmo.
Per essere esatti, nella sua testa Mario chiama A suo cugino Mimmo.
"Pronto?"
"Marisa, sono Mario, passami Mimmo."
Marisa è la moglie del cugino Mimmo.
"Eh, aspé, che sta guardando la caldaia, MIMMO! VIENI CHE STA MARIO AL TELEFONO!"
"Pronto?"
"Mimmo, ma hai visto alla TV? Quella cosa lì?"
"Eh, si, ho visto."
"Oh, Mimmo, non è che mi hai tirato dentro qualche stronzata, eh?"
"Senti, vieni qua che ne parliamo, ok?"

Mario va dal cugino Mimmo.

Insieme guardano la caldaia, guardano le scatole in cantina (che sono pari pari quelle di Mario, solo un po' meno), guardano le bollette (che hanno un andamento come quello di Mario).
Insieme non ci capiscono un granché.
"A me mi ha tirato dentro mio cognato Giuseppe, sentiamo lui", propone Mimmo.
Insieme chiamano A Giuseppe.
"Pronto?"
"Oh, Giusé, ma hai visto la TV? Che è quella storia lì?"
Mimmo dà per scontato che Giuseppe sappia tutto: Striscia è la trasmissione più vista di tutte, quindi tutti guardano Striscia e poi lui, Mimmo, sa di cosa sta parlando, quindi tutti sanno di cosa stia parlando, no?
Infatti Giuseppe non lo sa: "No, che cosa? stavo giocando con la pleistescion..." (Giuseppe non è sposato)
Mimmo e Mario spiegano.
"Senti, venite qua che ne parliamo, ok?"

Mario ed il cugino Mimmo vanno dal cognato Giuseppe.

Caldaia, scatole in cantina, caldaia, bollette.
Tutti e tre non ne cavano un ragno dal buco.
"A me mi ha tirato dentro Umberto, un mio collega", racconta Giuseppe.
"Allora sentiamo lui", dice Mimmo.
Insieme chiamano A Umberto.
"Pronto, Umbé?"
"è per quella storia lì? quella di Striscia?"
"eh, si, per quella, per quella."
"Eh, venite qua che ne parliamo, ok?"
Umberto è sempre stato un o un po' più sveglio.
Non un'aquila, ma sempre più degli altri.

Mario, il cugino Mimmo ed il cognato Giuseppe vanno dal collega Umberto.

Caldaia, scatole in cantina, caldaia, bollette.
Nessun risultato, qualche prima traccia di panico.
Siccome l'esercizio rende perfetti, Mario conosce già il prossimo passo: "Ma a te, chi ti ha tirato dentro?"
"Quello è il mio amico, Michele."
E via a chiamare Michele: "Eh, venite qua che ne parliamo, ok?"

Mario, il cugino Mimmo, il cognato Giuseppe, il collega Umberto vanno dall'amico Michele.

Caldaia, scatole in cantina, caldaia, bollette.
Nada- zero-nisba, il panico aumenta.
E chi ti ha tirato dentro?
"Il mio capo Giulio"
Telefonata e "venite qua che ne parliamo".

Mario, il cugino Mimmo, il cognato Giuseppe, il collega Umberto, l'amico Michele vanno dal capo Giulio.

E così via, per altri due o tre passaggi: all'ultimo trasferimento si è ormai mobilitato mezzo paese e per fortuna che tra loro c'era pure il vigile urbano, altrimenti li arrestavano per manifestazione non autorizzata.

Alla fine il barile viene scaricato ad un certo Paolo, che ha un'idea nuova e la comunica a tutti: "Sentite, domani chiamo in sede e vedrete che si chiarirà tutto"
Per farlo ha dovuto salire su di una sedia e sgolarsi come se fosse nell'assemblea del condominio quella volta che si doveva decidere di che colore ridipingere la facciata.
Il cipiglio ed il carisma di Paolo comunque convincono la folla e tutti vanno a casa, anche perché ormai si era fatta una certa ora.

Il giorno dopo Mario lo trascorre animato da una discreta inquietudine, perché:

  1. pensava ai soldi spesi
  2. doveva ancora dirlo a sua moglie

e come lui, tutti gli altri dell'improvvisato battaglione che la sera prima aveva vagato per le vie del paese, con la sola eccezione di Giuseppe e di Mimmo, che avevano solo il problema 1: Giuseppe non era sposato e Mimmo pensava che avrebbe potuto scaricare la colpa sullo stesso Giuseppe, che era il fratello della moglie e quindi almeno su quel fronte si credeva al sicuro.

Ma, del resto, tutti hanno sempre saputo che Mimmo era un povero ingenuo.

In fondo, di che cosa si preoccupano Mario, Mimmo, Giuseppe e tutti gli altri?


































Di un tubo.


[continua]


giovedì 17 settembre 2015

Sgnaus-meme 17


Sgnaus-meme 10

(perché su the Sgnaus ci piace anche fare errori)


il Diario e i pirla

Qui si tocca davvero il fondo: finché gridi “scie kimike!!11!!”, vabbè, sei un gonzo ma la cosa finisce lì; finché blateri della “vera cura contro il cancro che le lobbys non vogliono!!11!!”, vabbè, ti auguro ottima salute a vita, così che tu non debba decidere di sperimentare la “vera cura” sulla tua pelle; finché ripeti “sulla luna nn c sono mai andati!!11!!”, vabbè, anche ‘sticazzi.
Ma l’ultima novità è “il diario di Anna Frank è scritto con la bic, è un fake!!11!!”: ecco, questa è grave.
Sul serio.
Grave già da sola, anche di più quando il passo successivo, pressoché immancabile, è negare la Shoah: tra 1933 ed il 1945 in Germania (e territori occupati) non sarebbe successo quasi nulla, è tutta una montatura Sionista (anzi: “$ioni$ta”), i filmati sarebbero opera di Hitchcock, in realtà Adolf voleva fermare le banke kattive, bla, bla, bla…

Calma.

Un profondo respiro e calma.

Comprendo che possano prudere le mani, ma calma, approccio zen.

Bene, adesso che ho evitato di fare la fine di Bruce Banner, provo ad esprimere a parole quello che altrimenti avrei espresso a piombo.

Fai schifo.

E non poco: fai proprio tanto schifo.

Orrore, ripulsa, raccapriccio (sono sinonimi con sfumature diverse, non pretendo che tu li conosca: fai conto che ti abbia detto che fai anche più che schifo, che tu sia oltre il semplice schifo).

Per carità, potrei essermi sbagliato, succede: la cazzata che hai convintamente condiviso su questo strumento internet (che assomiglia sempre di più alle fogne di Calcutta dopo che qualcuno ha incrementato la carica batterica del Gange con un virus gastrointestinale a cui pure l’ebola chiederebbe un autografo), la cazzata madornale che hai pensato bene di diffondere il più possibile, “PRIMA CHE LA CENSURANO!!!11!!” (i punti esclamativi sono obbligatori, il congiuntivo no), ecco, questa cazzata, che già da sola era immonda ma hai ritenuto in-dis-pen-sa-bi-le guarnire di commenti ed affermazioni anche peggiori , beh, è tutto così inconcepibile che il dubbio mi viene, potrei aver frainteso.

Quindi, sempre con calma, rileggo.

Per “calma” s’intende “tanica da 5 litri di mix maalox+tavor sciolti in camomilla geneticamente modificata”: praticamente un’anti-redbull che permette al mio stomaco di fare pace con il mondo ed al tuo di rimanere all’interno del tuo addome.

Nel senso che non te lo estirpo, se non ti fosse chiaro (non mi aspetto che tu comprenda i sottintesi: del resto, non capisci nemmeno tante altre cose più complesse della tabellina del 2).

Ennò, pare proprio che tu volessi dire proprio quello, non avevo capito male io, non era un equivoco, peccato: ci avevo sperato.

D’accordo, prima che finisca la calma vediamo se riesco ad inculcarti un’idea o due a parole.

Per “calma” s’intende sempre la stessa tanica di prima, “a parole” vuol dire che se dovesse finire sul più bello non mi rimarrebbe che tentare di cacciartele fisicamente nel cranio, che tanto di spazio vuoto tra le tue orecchie ce n’è in abbondanza.

Partiamo dall’inizio: la storia della penna bic.
Ad essere pignoli, qualche traccia d’inchiostro di penna a sfera nel manoscritto originale si trova: sono due foglietti di appunti di alcuni ricercatori che l’hanno studiato.
Lo ripeto lentamente, so che ce la puoi fare.
Due.
Foglietti.
Di.
Appunti.
Di.
Alcuni.
Ricercatori.
Quindi: non esiste nulla che sia stato attribuito ad Anna Frank scritto con quell’inchiostro, punto.
E non lo dico io, ma due istituti di ricerca, uno olandese ed uno tedesco: l’intero manoscritto del diario è scritto con inchiostro da stilografica e matite, che per composizione ed invecchiamento sono compatibili con gli anni dal ’33 al ’45, su carta che per composizione ed invecchiamento è compatibile con gli anni dal ’33 al ’45; e pure le perizie calligrafiche, condotte confrontando altri campioni di scrittura attribuiti ad Anna Frank, hanno dato risposte inequivocabili.
Lo hanno detto, scritto, firmato, controfirmato e ribadito alla nausea; lo hanno detto talmente tante volte che se glielo chiedi di nuovo gli viene una crisi epilettica.
La gran balla del “diario scritto con la biro” è una puttanata partorita da presunti storici revisionisti con simpatie neonaziste apertamente dichiarate: non avendo argomenti reali con cui difendersi, che altro potevano fare? Ovvio: li hanno inventati, che qualche gonzo che abbocca si trova sempre.
Fin qui ti è tutto chiaro o ti serve un disegnino? Devo aiutarmi facendo dei gesti? Ah, dimenticavo che sei refrattario ai sottintesi quanto alla cultura: il “gonzo che abbocca” sei tu.

Ok, facciamo un piccolo passo avanti.
Il presunto falso del Diario lo sfrutti come punto d’appoggio per sollevare le tue tesi negazioniste, di fatto costruisci un bislacco sillogismo:
  • il Diario è un documento che prova la Shoah 
  • il Diario è falso 
  • quindi la Shoah è falsa

Questo sillogismo è così balordo che ha telefonato Aristotele: mi ha chiesto di prenderti a sberle a coppie finché non diventano dispari, l’ha chiesto a me perché fai così schifo pure a lui che nemmeno ti vuole toccare.
Un momento, forse ho esagerato ed ho dato troppe cose per scontato, meglio andarci coi piedi di piombo:
-          no, Aristotele non è un “bankiere $ioni$ta”: è un filosofo greco vissuto nel VI secolo avanti Cristo
-          no, ovviamente non mi ha telefonato sul serio
-          e si, è morto da un pezzo (ma sono sicuro che gli faresti schifo lo stesso)

Ma non divaghiamo: il livello della calma sta drammaticamente scendendo (“calma” è sempre la solita tanica).
Eravamo arrivati al tuo pirotecnico passaggio logico, “se è falso il Diario, allora è falsa la Shoah”: quest’ardita e funambolica sineddoche della stronzaggine.
(La sineddoche è una figura retorica che… ehm, “sineddoche” significa “la parte per il tutto” e… scusa, se comincia a girarti forte la testa è colpa mia, qualche volta ti prendo per un normodotato e mi dimentico che all’asilo non riuscivi ad infilare il legno tondo nel buco quadrato: non hai mai superato quel trauma e le tue capacità cognitive, già scarse, ne sono state irrimediabilmente compromesse*).

Il nocciolo del problema è proprio questo: il fatto che tu senta il bisogno di negare la realtà di 6 milioni di morti (più molti altri, tra zingari, omosessuali, oppositori politici, portatori di handicap e più in generale chiunque non andasse a genio a dei masochisti repressi vestiti tutti di nero).
E perché? Mah, in fondo dei tuoi perché non me ne frega un cazzo: che sia perché vuoi la “Palestina Libera!!!!”, che sia perché se solo un povero meschino antisemita, che sia perché in fondo al tuo miserabile cuore (ammesso che tu ne abbia uno) ti senti di non valere granché e cerchi un nemico qualunque con cui prendertela, qualcuno che secondo te sia peggio di te, in un’applicazione perversa della Fenomenologia di Mike Bongiorno.
Non me ne frega un cazzo, ma se davvero vuoi la “Palestina Libera!!!11!!” renditi conto che con la tua idiozia fai più male che bene ai Palestinesi: ne hanno già passate tante, dar loro pure la tua solidarietà è una pena che non meritano.
Non me ne frega un cazzo, ma se sei solo un povero meschino antisemita, dillo e basta: credimi che fai più bella figura (beh, più o meno: schifo continui a farlo, solo un pelo meno – un pelo molto sottile, ma c’è).
Non me ne frega un cazzo e la Fenomenologia di Mike Bongiorno non te la sto a spiegare, perché tanto non ci arriveresti (e non me ne frega un cazzo nemmeno di spiegartela).

Sai che c’è? C’è che non mi fai solo schifo, ti detesto proprio.
Ti detesto perché prima di risponderti ho pensato di capire da dove arrivasse la “notizia” ed ho fatto quello che tu di solito non fai: sono andato a cercare le fonti, ad informarmi, a vedere chi dice cosa, come, quando e perché.
Praticamente una discesa all’inferno dell’apologia di malvagità.
Non mi è piaciuto, per niente.
Non riesco nemmeno a trovare qualche arguta e sarcastica metafora per descriverlo, quasi non mi va neanche di parlarne.

Ti detesto anche perché hai fatto vacillare uno dei pilastri su cui ho costruito la mia morale: ciascuno deve essere libero di esprimere quello che pensa.
Ebbene, con te non so cosa fare: possibile che pure tu abbia il diritto di dire certe puttanate? Me ne vergogno io per te, ma proibirtelo non mi renderebbe uguale a te?
Onestamente, non sono sicuro di aver sciolto questo paradosso, ma credo che lasciarti libero di parlare serva a far capire a chiunque che razza di poveretto tu sia.

Certo, avrei potuto farne a meno: avrei potuto ignorare le tue puttanate e vivere sereno; avrei potuto fare spallucce, confortato dal fatto che, per fortuna, appartieni ad una misera minoranza di teste di cazzo; avrei potuto scuotere il capo e fermarmi lì, sconsolato per aver incontrato una plastica rappresentazione di soldi pubblici sprecati nell’inutile tentativo di dare un’istruzione anche a gente come te; avrei potuto voltarmi dall’altra parte, perché dei miserabili coglioni brillanti come la lampadina del frigo con lo sportello chiuso, in fondo, non meritano attenzione.
Avrei potuto farne a meno e preservarmi lo stomaco.

C’è un “però”: un “però” grande quando un campo di concentramento.

Avrei potuto farne a meno, però non ti detesto e basta.
Avrei potuto farne a meno, però non mi fai schifo e basta.
Avrei potuto farne a meno, però mi fai paura.
Mi fai paura, anche più di BigPirla, l’idiota che denuncia i complotti di BigPharma e crede nelle “cure alternative” (beh, non escludo che tu sia anche un BigPirla, se è per questo).
Mi fai paura perché già 70/80 anni fa c’era una piccola minoranza di mentecatti come te e già 70/80 anni fa molta gente li ha ignorati, ha fatto spallucce, ha scosso la testa sconsolata e si è fermata lì, si è voltata dall’altra parte perché, in fondo, non meritavano attenzione.
E poi, in qualche modo, molta di quella stessa gente si è fatta convincere, che, forse forse, quel buffo ometto coi baffi, quel pittore austriaco fallito che parla come un tarantolato, chissà, magari non ha tutti i torti e se io non vivo bene, di qualcuno dovrà pur essere la colpa, no? Di certo non mia (si, lo so, è una descrizione mostruosamente rozza dell’ascesa del Nazismo, ma abbiate pazienza, è per rendere l’idea… no, non ce l’ho con te, testa di cazzo, lo dicevo a chi a scuola stava attento alle lezioni di storia, non a te che preferivi esplorare le tue cavità nasali con le dita – per altro, uno dei punti più alti della tua esperienza intellettuale).
Quello che ne è venuto poi, che tu ci creda o meno (e non me ne frega un cazzo che tu ci creda), non è stato bello, per niente.
Non è stato bello per nessuno, in Europa ed in buona parte del resto del mondo: è stato qualcosa che non augurerei a nessuno, nemmeno a qualcuno che io odi con tutte le mie forze.
Pensa: è stato qualcosa che, nonostante tutto, non augurerei nemmeno a te.

(*: ora che sei grande puoi affrontare la verità, tieniti forte perché poi la tua vita non sarà più la stessa: il legno tondo va nel buco tondo – della lampadina del frigo parleremo un’altra volta, troppe rivelazioni tutte insieme non ti fanno bene.)

martedì 15 settembre 2015

nuovo articolo su The Fielder

Quando serve posso pure essere educato, solo che pubblico altrove: qui il mio articolo sulla Nuova Medicina Germanica, pubblicato oggi su The Fielder

(qui, invece, continuerò con le cagate sboccate)

lunedì 14 settembre 2015

Murphy is nothing - 4


[la parte 1 la trovate qui]
[la parte 2 la trovate qui]
[la parte 3 la trovate qui]


Fase 6: una fazza, una razza


Situazione attuale: siamo tutti e 6 seduti sul lato sbagliato di un cellulare della polizia di Tijuana, in compagnia di due ubriaconi svenuti e di un tale Fernando o' Femminiello che solo da pochi minuti ha smesso di chiedere a noi maschietti se avessimo bisogno di compagnia.
Destinazione: il locale commissariato di polizia, dove avremmo trascorso la serata, in attesa di pagare una multa il giorno seguente.


"Tanto, peggio di così non può andare..."



Ricordo che lo stesso "giorno seguente" avrei dovuto prendere l'aereo per tornare a casa.



Paolo ed il suo amico proseguirono a parlamentare con Felipe il carabiñero, nella vana speranza di trovare una via d'uscita, nonostante la ferma opposizione del tutore della legge.

Al quarto tentativo uno dei due mangiò la foglia e giocò il jolly, "E se la multa te la paghiamo subito?": scintillio negli occhi di Felipe, debole resistenza, cambio di argomento della discussione, da "lasciaci andare" a "quanto è la multa".

"Quanti soldi avete?"

Un funzionario pubblico che è disposto a chiudere un occhio in cambio di una piccola oblazione a suo favore: in fondo Felipe voleva farci sentire come a casa nostra.
Avete presente quando ci siamo riuniti davanti allo scaffale con la pasta Barilla? Ecco, più o meno la stessa cosa, solo con un meno entusiasmo ed a pagamento; la dura trattativa ci portò ad una significativa vittoria: ci avrebbero lasciato qualcosa per andare in un locale e per il taxi che ci avrebbe riportati al confine.

Personalmente contribuii con 70$.


Soddisfatto della colletta, Felipe berciò qualcosa al guidatore che inchiodò prontamente: liberi! Non restava che uscire da quel cubicolo, tirare un bel respiro come Andy Dufresne (6) e saltare giù dal predellPLAF! 

Dovete sapere che la mobilità di Tijuana non si basava solo su auto tenute insieme con nastro isolante, qualche preghiera e tanta speranza, ma contemplava anche la cara, vecchia trazione animale: ecologica, economica e collaudata.
Per carità, non priva di difetti: uno di questi era stato depositato, in discreta quantità, da qualche mite equino esattamente dove i nostri piedi avrebbero poggiato, per inaugurare nel migliore dei modi il nostro primo passo dopo la galera.

Su sei che eravamo, i primi quattro pestarono tutti il merdone e solo agli ultimi due venne il dubbio che le colorite imprecazioni di chi scendeva non fossero manifestazioni di gioia (io ero l'ultimo della fila).

E ora? Avevamo girato dentro quel cazzo di cellulare per una buona decina di minuti: dove cazzo eravamo? Come tornare in Avenida Revoluciòn? 
Il premuroso Felipe ci venne incontro e ci spiegò che quella via piena di luci che si vedeva all'inizio del vicolo era proprio Avenida Revoluciòn: nella "buona decina di minuti" non avevamo fatto altro che girare in tondo.

Non volevamo sapere altro: al primo locale "ingresso 10$!!! All U Can Drink!!!" c'infilammo con la precisa intenzione di bere fino a dimenticare tutto.


"Tanto, peggio di così non può andare..."


Fase 7: al prossimo che dice "tanto, peggio di così non può andare" gli esco le lame così forte che mannaggiaamaradona poi mi potete chiamare Gilette

Dopo gli eventi della serata, il locale era esattamente quello che ci potevamo aspettare: squallido.
Cocktail annacquati, musica scadente, pubblico di ragazzotti americani che si ubriacano con una birra, figuriamoci con un gin tonic.

Il tizio di Torino condivideva le mie impressioni, ma rimaneva fondamentalmente positivo: "Dai, alla fine ce l'abbiamo fatta, no?"
"Ma sì, alla fine sì", mi feci convincere.

Ma lui commise un errore.
Imperdonabile.



"Tanto..."


Non dirlo...


"...peggio di così..."


Non ti azzardare...


"...non può..." 

Per l'amor di Dio, non...

"...andare!"



Ecco, l'aveva detto.



In quel preciso istante si materializzò l'amico di Paolo: "C'è un problema..."

Il torinese era ammutolito, io avevo perso le speranze: "cosa è successo, ancora?!?"
























"Hanno arrestato Paolo."

"Non credo di aver capito bene..."









"Hanno arrestato..."

"Ok, allora avevo capito"


Respiro profondo.


"Vediamo di riassumere: abbiamo fatto un viaggio in macchina che sembrava guidasse Kermit la Rana, abbiamo preso un taxi che appena torno a casa faccio l'antitetanica, abbiamo schivato per un soffio una festa in cui il momento più divertente sarebbe stato il coma etilico, ci hanno arrestato, abbiamo pagato una tangente per uscire, ci hanno liberati giusto giusto sopra un'enorme merda di mulo e tutto per poter venire nel più triste locale del centro america.
E adesso mi stai dicendo che Paolo è stato arrestato.
Di nuovo.
Dimentico qualcosa?"

"No, non credo..."

"Benissimo, ora spiegami con calma come è andata mentre io accendo un cero alla Madonna..."

Molto semplice: vi ricordate quel timido suggerimento di acquistare qualcosa da Francisco lo Spaccino? Beh, era Paolo(7).

Evidentemente quell'occasione persa gli aveva lasciato un po' di amaro in bocca, un certo languorino o forse aveva più voglia di qualcosa di buono, ed era uscito a cercarlo.

"Ok, è uscito dal locale alla ricerca di uno spacciatore, e poi?"

"Ovviamente non sapeva da che parte cominciare per trovarlo, si è guardato in torno..."

"...e poi?"

"Ha provato a chiedere dove potesse trovare della roba al primo che ha incrociato..."

"...e poi?"























"Era un poliziotto in borghese."





Distintivo, manette, colletta, tangente, libero.


Quello sembrò a tutti un buon momento per averne abbastanza di Tijuana e tornammo a casa.

[L'anno seguente tornai in California e feci un altro giro a Tj: molto veloce, rigorosamente di giorno, rigorosamente astemio; non capitò nulla, almeno a me, ma questa è un'altra storia.]

(6): è il protagonista di questo film
(7): ecco spiegato il motivo del nome fittizio

sabato 12 settembre 2015

Murphy is nothing - 3

[la parte 1 la trovate qui]
[la parte 2 la trovate qui]

Eravamo in un vicolo di Tijuana, a due passi da Avenida Revoluciòn, in compagnia di un poliziotto.


Fase 5: lezioni di diritto messicano


Ci siamo noi e Felipe il carabiñero (3).

Che messa così, sembra una barzelletta.
Noi pensavamo: "Abbiamo evitato di comprare droga, che culo!"


Errore.


Grosso errore.


Felipe ci affrontò a muso duro, latrando qualcosa in spagnolo (no, questa volta non si trattava dei nostri parenti); vedendo evidente perplessità nei nostri occhi, ripeté in inglese: "COSA STATE FACENDO?"

Uno dei due ragazzi di Roma, che d'ora in poi chiameremo Paolo(4), gli mostrò la bottiglia di vodka che teneva in mano, con l'espressione che nel linguaggio internazionale significa "che cazzo di domande fai?"

Felipe, che evidentemente capiva benissimo il linguaggio internazionale, non gradì ed abbiaiò "NON SAPETE CHE IN MESSICO È ILLEGALE BERE PER STRADA?"
No, evidentemente non lo sapevamCONTRO IL MURO STRONZI! APRITE QUELLE GAMBE! SUBITO!
Mezzo dipartimento di polizia di Tj si materializzò attorno a noi: io, il tizio di torino e l'altro romano venimmo sbattuti contro un muro e sottoposti a perquisizione, le due ragazze strette in un angolo  strillavano come galline supponendo l'imminente stupro, un altro poliziotto stava fracassando rumorosamente le bottiglie ed i rimanenti sbirri circondavano la scena del crimine, mentre Felipe stava scuotendo Paolo dopo averlo afferrato per il bavero.
No, Felipe non aveva proprio gradito.
Un poliziotto trovò una zucca e, bibidi-bobidi-bù, con il suo manganello magico la trasformò in un cellulare: in realtà non so da dove sia spuntato quel cazzo di furgone con atteggiamenti da bullo e questa mi pare la spiegazione più plausibile.
Fecero salire i pericolosi criminali, cioè noi, anche se sarebbe più corretto dire che ci caricano come se fossimo dei sacchi di tuberi di scarso valore, che anche se li ammacchi non è un problema.

A quanto pare tutti i veicoli di Tijuana erano dimensionati per pochi passeggeri e per far accomodare noi 6 sulle graziose panche, i precedenti occupanti del cellulare vennero spinti sul pavimento: ci sono sacchi di tuberi di serie A e di serie B; nel dettaglio la serie B era composta da due ubriaconi locali (praticamente nostri colleghi, ma recidivi e decisamente più avanti di noi con il lavoro) ed un intrattenitore locale, tale Fernando(5)  o' Femminiello, che non mancò di dimostrare una spiccata sfacciataggine, dato che cercò di offrire i suoi competenti servigi a tutti i componenti maschili della nostra efferata banda di delinquenti.

Paolo ed il suo concittadino si trovavano sul fondo delle panche, vicini all'oblò del portellone e provarono a chiedere lumi a Felipe, che se ne stava fuori in piedi sul predellino: il risultato fu "Ci portano al commissariato: una notte in cella e domani pagare la multa".



"Tanto, peggio di così non può andare..."








Vi ho già detto che il mattino dopo avrei dovuto prendere il volo per tornare in Italia?





(3): chiaramente non so se si chiamasse Felipe e nemmeno so se fosse un carabiñero, un gendarme o un poliziotto: aveva una divisa ed un distintivo, in quel momento era sufficiente.
(4): per ragioni che saranno ovvie in seguito, questo non è il suo nome vero
(5): no, non ricordo se si fosse davvero presentato, in quel momento avevamo altro per la testa

Entrando in aula

"Buongiorno prof!"
"Buongiorno un cazzo!"


"Buongiorno prof!"
"Buongiorno un cazzo!"
"Eh, ma... è... è una bella giornata..."
"Vuoi vedere che può peggiorare in un lampo?"
"No prof, grazie, ho capito..."
"Meglio."


"Buongiorno prof! è venuto in moto?"
"No, ho il casco perché sono un power ranger..."

E quei giorni ero anche di buon umore.

venerdì 11 settembre 2015

Quando il duro lavoro paga

Alberto (nome ovviamente di fantasia) non era uno dei miei studenti più brillanti: buono come il pane, una persona come ce ne vorrebbero di più, tanto impegno, ma proprio la mia materia non gli entrava in testa e veleggiava stabilmente sul 2; sia lui che io c'intestardimmo e lavorammo sodo per preparare il prossimo compito in classe.

Risultato: 4 (che è sempre il doppio di 2, ma porcaputtana non è 6).

Mentre gli mostravo gli errori ("checazzo, questa la sapevi, perché mi hai scritto 'sta cagata?!? E qui? Proprio il giorno prima me l'avevi ripetuta perfetta tutto da solo!"), ero concentrato a dimostrargli che, nonostante tutto, la sufficienza (o almeno il 5) poteva anche essere alla sua portata... e, per lo stesso motivo, m'incazzavo anche un po'.

Rialzo la testa dal suo compito, temendo di aver esagerato, temendo di essere stato un po' troppo duro.
E invece lo trovo serissimo e soddisfatto: "Prof, c'ha ragione lei: sono stato un coglione."

"Beh, adesso non esageriamo..."

"No, prof, c'ha ragione, anzi, la ringrazio che mi ha messo 4."

"Mi ringrazi?!?"

"Eccerto, prima pigliavo 2!"

"No, calma: sei tu che ti sei meritato di passare da 2 a 4 con tutto il lavoro che hai fatto, se non molli il prossimo può essere un 6."








"Si, vabbé, comunque, prof, non si preoccupi: se ci rubano la moto, me lo venga a dire a me che ci penso io."


E son soddisfazioni.

giovedì 10 settembre 2015

Murphy is nothing - 2



Varcato il confine tra California e Messico, scattò la...


...Fase 2: prendere il taxi.

Tanto, peggio di così non può andare...

In effetti sembrava solo esserci l’imbarazzo della scelta: davanti a noi si presentava almeno metà della produzione di Detroit di un decennio.
Peccato che fosse il decennio tra il 1971 ed il 1980: alcune di quelle auto erano più vecchie di me e peggio mantenute di me, l’imbarazzo consisteva nel scegliere quella meglio in arnese.

Optammo per quella di colore improbabile e discreto coprivolante in peluche marrone a pelo corto.
L’improvvisato taxista passò da un incontenibile entusiasmo tipicamente latino (quando si rese conto di aver trovato dei clienti), ad una marmorea delusione (quando ci contò e capì che eravamo in 6); ne seguì un’estenuante trattativa per convincerlo a caricarci tutti, in cui la spuntammo quando uno di noi indicò a casaccio nella massa di lamiere malconce, sostenendo che “quello là” ne avesse caricati anche 7 e che un altro sicuramente ci avrebbe portati dove volevamo.
Il nostro potenziale autista mise sulla bilancia il rischio di perdere i nostri soldi vs. il rischio di prendere una multa; in realtà questa era una nostra supposizione: non potevamo sapere che le multe per infrazione del codice della strada fosse l’ultima delle preoccupazioni degli autisti e dei poliziotti di Tijuana.

Comunque salimmo; quando chiusi la portiera con decisione, temetti per l’integrità del vetro e della portiera stessa, mentre il tassista da week end biascicò un “demasiado fuerte” ed altre cose che per fortuna non capisco lo spagnolo, ma tutt’ora nutro il dubbio avessero attinenza con l’attività professionale di mia madre, in particolar modo in orario notturno.

Qualcosa tra il commercio e le pubbliche relazioni, ma non ci giurerei.

Comunicato l’indirizzo di destinazione, l’espressione del nostro caronte mangiafagioli ci fece supporre che non fosse esattamente di suo gusto, ma ormai eravamo saliti e tanto valesse rischiare; l’espressione fu anche accompagnata da altre dichiarazioni nella sua lingua: credo stesse avanzando l‘ipotesi che le madri dei miei compagni di viaggio fossero colleghe della mia, tutte con una curiosa predilezione per l’ippica.


Fase 3: Fiesta!
O quasi.
Fedeli al vecchio adagio “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” e poco incoraggiati dallo stato delle abitazioni vicine, alcuni dubitano che la festa fosse quell’evento imperdibile che ci eravamo immaginati: io ed altri due ci armiamo di coraggio e partiamo ad esplorare.

Tanto, peggio di così non può andare...

Appena varcata la porta la scena fu:
  • individuo, presumibilmente maschio, bianco, tshirt stracciata e stinta di gruppo sconosciuto, che si muoveva in modo scomposto e comunque poco attinente alla musica
  • coppia di esseri umani, di sesso non definito (causa illuminazione al livello “profondità oceanica, di notte”) e non necessariamente opposto, impegnata a limonare duro su di un lacero divanetto
  • vecchio stero portatile malconcio, modello ghettoblaster, poggiato sul pavimento, da cui usciva una nenia che al confronto “Mad World” di Gary Jules sembrava YMCA (se non conoscete Mad World, è questa qui https://youtu.be/4N3N1MlvVc4)

Ora, dei vecchi adagi non c’è sempre da fidarsi: per dire, tra “un libro non si giudica dalla copertina” e “la prima impressione è quella che conta” chi ha ragione? Noi decidemmo prontamente di dar credito al secondo: forse, se avessimo avuto più coraggio, avremmo potuto scoprire che in giardino si stava svolgendo un party degno della Playboy’s Mansion, chissà, ma non lo sapremo mai e dovremo convivere con questo con questo rimpianto.

Uscimmo da quel tripudio di gioia e facemmo salire tutti in macchina con la stessa prontezza di rapinatori fuori da una banca: a bordo, con un veloce conciliabolo, si stabilì di andare in Avenida Revoluciòn (via dove si concentrano locali e discoteche).
Va detto che Avenida Revoluciòn era la prima destinazione proposta da Gonzalo il Guidatore (1): le sue considerazioni sbiascicate si estesero dalle nostre madri alle nonne e anche oltre, comprendendo almeno tre generazioni, ascendenti e discendenti, in linea femminile.


Fase 4: Fiesta! (di nuovo, che la fase 3 non era riuscita tanto bene)
Arrivati, fummo sbrigativamente salutati da Gonzalo, che ripartì in tutta fretta: ci disse che aveva un impegno urgente, oppure comprese nelle sue dichiarazioni anche la parte maschile delle nostre famiglie, avanzando dubbi sulla reale virilità, boh.

Il programma prevedeva, a questo punto, di ricorrere alla scorta di alcoolici fatta per la festa, per “caricarci” prima di entrare in qualche locale.

Già, gli alcoolici: non ci stavamo più pensando.
Avevamo portato con noi due sacchetti pieni di bottiglie: uno con gin, vodka e affini, l’altro con cola, limonata ed altro per fare dei cocktail.
Chissà perché, il secondo rimase sull’auto di Gonzalo: i suoi figli avrebbero bevuto bibite e succhi di frutta brindando alla salute nostra e delle nostre madri professioniste.
Comunque, il più era fatto e potevamo pure adattarci a bere un po’ di alcool liscio, no?

C’infilammo in una traversa dotata di panchine e stappammo.

Tanto, peggio di così non può andare...

Prima ancora di fare un sorso, ricevemmo un assaggio del tipico colore locale, nei panni di un tizio molto magro, molto pallido ed avvolto in un impermeabile molto lungo.

Un impermeabile lungo, ad agosto e non pioveva da qualche mese.

"Nei panni" letteralmente, perché non facemmo nemmeno in tempo ad allarmarci per l'evidente stato malaticcio del tizio che questo, BLAM! spalancò l'impermeabile: nelle molte tasche interne c'era il più ricco assortimento di stupefacenti che si potesse immaginare; coca, hashish, eroina, LSD, marjuana: Francisco lo Spaccino (2) snocciolò con perizia l'intero campionario, assicurando di avere buoni prezzi e garantendo qualità eccellente.
Un po' intimoriti, declinammo ("ma, forse..." suggerì timidamente un nostro compagno di viaggio, "NO, DECLINIAMO", rispondemmo con una certa fermezza noi altri) ed offrimmo un sorso per suggellare un opportuno patto di amicizia Italia-Mexico, che non si sa mai.
Francisco prese con noncuranza il nostro rifiuto a comprare, ma rifiutò con un certo fastidio i nostri alcoolici e si dileguò.
Si vede che è astemio, pensammo.

Tanto, peggio di così non può andare...

A questo punto, arrivò la polizia.





(1): no, non si chiamava Gonzalo, né credo di aver mai saputo come si chiamasse – in ogni caso non me lo ricordo – il nome glielo attribuisco io adesso, perché sto finendo i sinonimi
(2): altro nome inventato, a nessuno di noi venne in mente di chiedere come si chiamasse, di questo sono sicuro