martedì 8 settembre 2015

Murphy is nothing - 1

Estate del 2000, in vacanza studio a San Diego, si organizza la serata.
Non ricordo chi ha la brillante idea: “Un tizio che conosco ha affittato una villa a Tijuana e stasera dà una festa, andiamo?”
La proposta raccoglie 6 adesioni, tra le quali la mia: stolti.
Il manipolo di aspiranti festaioli si componeva di me, due ragazzi di Roma, uno di Torino e due ragazze di non mi ricordo dove.

Per chi non la conoscesse, occorre spiegare cosa sia Tijuana.
Ridente cittadina messicana poco oltre il confine con la California, Tijuana è in realtà un Paese-Dei-Balocchi per il giovane americano medio: in un paio d’ore di macchina si passa da un luogo dove:
  • puoi bere alcool solo dopo i 21 anni,
  • puoi entrare in molti locali solo dopo i 21 anni,
  • in ogni caso quasi tutti i locali chiudono alle 2 del mattino
  • puoi avere la patente a 16 anni
ad uno dove:
  • in teoria puoi bere alcool solo dopo i 18 anni
  • in teoria puoi entrare in alcuni locali solo dopo i 18 anni
  • in pratica nessuno controlla niente
  • i locali sono aperti anche oltre le 5 del mattino
  • quasi tutti i locali hanno l’open bar
  • l’ingresso in molti locali non supera i 10$
Vi lascio immaginare come possano reagire mandrie di studenti americani che assaporano tutto in un colpo i piaceri di Bacco & i suoi Distillati.
Ah, e dopo le 5 del mattino riprende a funzionare anche la metro di superficie che ti riporta fino a San Diego.
Magari adesso è cambiata, ma allora era così.

Prima questione: raggiungere la festa.
Ma cosa vuoi che vada storto…
Disponevamo di una sola auto, noleggiata per qualche giorno da una delle ragazze presenti, che però era per 5 passeggeri, mentre noi eravamo in 6 (compresa la Guidatrice): la temporanea titolare dell’auto oppose resistenza, temendo l’incarcerazione o qualcosa del genere se ci avessero pescati con il passeggero extra, ma dato che anche lei voleva andare, incauta, vincemmo facilmente i suoi scrupoli da codice strada
Avremmo viaggiato comunque comodi: era una classica berlina americana, 4.800 cc di cilindrata, cambio automatico, una ripresa che al confronto uno Scania che scala lo Stelvio è un fulmine anche con il rimorchio carico di incudini, un consumo di benzina da petroliera ed ovviamente così tanto spazio che da noi la potresti omologare come camper.

Rimaneva un solo ostacolo ragionevole: “non so se posso andare con la macchina anche in Messico.”
Ma cosa vuoi che vada storto…
Il Piano era questo: arrivare in auto fino alla frontiera, parcheggiare, attraversare la frontiera e poi prendere un taxi per raggiungere la meta (in fin dei conti la stessa cosa che ogni week end facevano legioni di ragazzini a stelle&strisce: rassicurati che la prassi fosse collaudata, si approvò).

Fase 1: si parte.
Arrivata la sera, il Piano scatta: tappa da Ralph’s, una specie di Esselunga locale, per fare incetta di alcoolici e bibite per mischiarli (per essere ammessi alla festa si doveva contribuire fornendo beveraggi); in quell’occasione ci riunimmo brevemente davanti allo scaffale ricolmo di scatole di spaghetti Barilla, per un lacrimevole rito da italiano in vacanza colto da saudade alla carbonara.

Si riparte, direzione Messico.
Il viaggio scorre via liscio o quasi: la Guidatrice si fa prendere da una leggera ansia “e se ci fermano? e se mi fanno la multa perché siamo in 6? e se…”
Tanto, peggio di così non può andare...
E piovve una serie di consigli per non dare troppo nell’occhio: vai piano, no, vai veloce come gli altri, no, guarda che se superi i limiti qui ti arrestano, no, che vanno tutti veloce se vai piano dai nell’occhio, no, che se invece vai veloce poi ci beccano, no, che non abbiamo tutta la sera, eccetera.

Il risultato era un’andatura a singhiozzo, fatta di accelerate brucianti (si fa per dire) ed inchiodate violente per tornare sotto i limiti: con tutta evidenza non c’erano né CHIPS, né telecamere, dato che chiunque a vederci avrebbe avuto pochi dubbi sullo stato di profonda ebrezza del guidatore, dei passeggeri e pure dei parenti rimasti a casa in Italia.

Dopo il tragitto ai limiti dell’attacco epilettico, finalmente raggiungiamo il parcheggio, raccogliamo le nostre cose e traversiamo il confine: ¡Que Viva Mexico!
I due cartelli molto evidenti, in inglese ed in spagnolo, che troviamo ad accoglierci al nostro ingresso nell’allegro paese centroamericano avrebbe dovuto darci qualche suggerimento: uno ammoniva che in Messico il porto d’armi da fuoco non fosse libero e l’altro con i “Most Wanted”.
Nel senso di ricercati, con tanto di taglie e facce poco raccomandabili: non proprio sombreri, cucaracha e tequila.
Poi c’era anche un terzo cartello, a cui, però, nessuno di noi diede peso…

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